martedì 23 ottobre 2012

VENTIDUE SILLABE MAGNIFICHE (QUELLO CHE NON..)



Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


Ciao Maggie,
         mi sono accorto che ultimamente ti ho dato troppi argomenti “da pensare”. Questa settimana non mi discosto però di molto, visto che passiamo alle cose “da leggere”.
         Ho dato un’occhiata allo scaffale della libreria di casa dove metto i volumi a cui tengo di più e la scelta è caduta ancora una volta su un’opera in versi: “Ossi di seppia”.
         Apro una parentesi: quando mi imbatto in questo libro  subito mi viene in mente che Montale l'ha scritto quando aveva più o meno 25 anni. “Spesso il male di vivere ho incontrato…”, “Cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!...” “Forse un mattino andando in un’aria di vetro…" e la poesia che ti ho messo come introduzione, forse la mia preferita. A poco più di vent’anni…Un segno lasciato per sempre nella letteratura e più ancora nella testa e nell’animo di tanti, una capacità di scegliere e accostare le parole e le sonorità, un retroterra culturale/letterario già così profondo! Non aggiungo altro!
         Ho avuto, devo ammetterlo, un grande privilegio  al tempo del liceo, quello di affrontare la poesia del ‘900 con un professore eccezionale: don Gianfranco Poma. Incontrare nel corso degli studi professori competenti, appassionati, carismatici è una fortuna incommensurabile ed un augurio che ti faccio fin da ora. Bisogna sapere scavare dentro queste parole, intravvederne la ricchezza e la molteplicità di significato, assaporarne la sonorità…avresti dovuto sentire come le leggeva! (Memorabili le letture della prima strofa di Chanson d’automne di Verlaine o dell’unico verso di Mattino di Ungaretti) Ma occorre anche invitare il lettore a cercare di capire cosa dicono a lui, mentre le sta leggendo.
         Guarda, ad esempio, le tre quartine di “Non chiederci la parola”. Nella prima e nell’ultima strofa ecco la sua dichiarazione con parole come “squadri”, “lettere di fuoco”, “dichiari”, “risplenda”, “croco”, “formula” contrapposte a “animo informe”, “polveroso”, “storta sillaba” e soprattutto agli splendidi ultimi due endecasillabi. Ci dicono come il poeta (e l’uomo) si ritrovi spesso in condizione di ricerca, accompagnato dal dubbio e dalla domanda e non arroccato con arroganza in formule e verità acquisite. È una condizione desiderabile, “piacevole”? Come si vive con l’animo informe, con le parole che sembrano sempre storte sillabe nei confronti della complessità della realtà? Cos’è quindi quella che il poeta prova per l’uomo della seconda strofa “che se ne va sicuro”: invidia, compatimento, disprezzo? Certamente distanza. Io mi ci ritrovo, sono fatto così, spesso provo anche invidia delle granitiche certezze, della sicurezza sfrontata di molti. Sarebbe bello aiutarti ad essere sicura, ma non arrogante, sempre in ricerca ma non disorientata. Mi sembra importante l’oggi del penultimo verso. Significa che il poeta si mette in un percorso in cui comunque continuerà a ricercare ciò che invece ognuno di noi è e ciò che ognuno di noi vuole. Platone nell’Apologia di Socrate fa dire a quest’ultimo: “… proprio questo è per l’uomo il bene maggiore, ragionare ogni giorno della virtù e degli altri argomenti sui quali m’avete udito disputare e far ricerche su me stesso e su gli altri… una vita che non faccia di cotali ricerche non è degna d’esser vissuta”.


Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri,
mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.
Bertrand Russell

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